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Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali


 

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) (in inglese “IBD”, Inflammatory Bowel Disease), sono un gruppo di patologie caratterizzate da un processo infiammatorio cronico che può colpire varie zone dell’intestino. Comprendono il Morbo di Crohn (MC), la Rettocolite Ulcerosa (RCU), la Colite Indeterminata (CI) e il Morbo di Bechet (MB). Sono patologie tra loro simili per molti aspetti ma che comunque mantengono sempre la loro individualità. Le 2 più frequenti sono la RCU e il MC, la prima è stata descritta fin dal 1859, mentre la seconda nel 1932 da Crohn, Ginzburg e Oppenheimer. Nonostante la definizione di cronicità delle due condizioni i pazienti possono comunque godere di prolungati periodi di relativo benessere. Cronico significa, invece, che la fase acuta di infiammazione può ricomparire periodicamente seterminando una riattivazione dei sintomi.
Per quanto riguarda l’incidenza delle MICI negli anni ’70 la loro frequenza era molto maggiore nel Nord Europa rispetto al Sud Europa, con differenze di incidenza di 3, 4 volte. Sembra poi che nel Nord Europa, dopo un notevole aumento negli anni ’70 e ’80, i tassi di incidenza si siano stabilizzati, mentre oggi si riscontra un continuo incremento di queste patologie nel Sud Europa, probabilmente correlato con un miglioramento delle condizioni socio economiche.
Si calcola che in Italia circa 200.000 persone siano oggi affette da queste patologie e che in Europa complessivamente le due malattie interessano circa 10-15 persone ogni 100.000 abitanti, senza preferenza di sesso sebbene il MC sia appena più frequente nelle donne. In età pediatrica si stima che l’incidenza delle MICI sia di 6-7 bambini ogni 100.000 abitanti e si calcola che il 20% dei casi totali di MICI interessi i bambini e gli adolescenti. Infine per quanto riguarda l’incidenza, si è visto che negli ultimi 10 anni la diagnosi di nuovi casi e il numero di ammalati sono aumentati di circa 20 volte.
Sia la RCU che il MC
possono manifestarsi a qualsiasi età, tuttavia esistono 2 picchi di maggiore incidenza: il primo durante la seconda decade di vita e il secondo fra la quinta e la settima decade di vita: nello specifico la RCU interessa maggiormente pazienti nelle prime 3 decadi di vita, mentre il MC maggiormente nella seconda e terza decade. Le malattie infiammatorie croniche intestinali hanno due picchi di esordio: il primo in età giovanile tra i 20 e i 30 anni, il secondo intorno ai 60 anni. In età pediatrica di solito l’età media di insorgenza della RCU è più bassa di quella MC (8 anni vs 10 anni) ma entrambe le malattie, anche se raramente, possono esordire nei primi anni di vita.
Le cause che portano allo sviluppo delle MICI non sono ancora del tutto note, queste patologie vengono comunque definite multifattoriali, ovvero più fattori sembrano essere coinvolti affinchè queste malattie si sviluppino. Fra questi fattori sono stati chiamati in causa fattori ambientali o esterni legati
ad abitudini di vita o caratteristiche dell'ambiente, fattori immunologici e fattori genetici. In altre parole, in pazienti geneticamente suscettibili un agente interno o esterno (ad esempio batteri presenti nella flora intestinale o introdotti attraverso il cibo) innescherebbe un processo infiammatorio che l’intestino non riesce più a controllare. Più in particolare, il sistema immunitario, invece di rispondere normalmente all’attacco di un antigene attivando le cellule T di soppressione, innesca una risposta esagerata del linfocita T4, che poi non è più in grado di sottoregolare.
Il linfocita T4, quando viene attivato, rilascia linfochine, tra cui il tumor necrosis factor alfa (TNF-alfa), che amplificano il processo infiammatorio.
Lo stesso meccanismo antigene-anticorpo spiegherebbe le complicanze extra-intestinali delle MICI, come le artriti, l’eritema nodoso, iriti e uveiti ecc.
Per quanto riguarda la suscettibilità genetica bisogna specificare che le MICI non sono malattie ereditarie, ma si è visto che alcuni geni, come il gene NOD2/CARD15 nel Morbo di Crohn, sono mutati rispetto ai soggetti sani e questo porta a un alterato controllo dell’immunità con una conseguente abnorme risposta immunitaria e stimolo della cascata infiammatoria.
L’evidenza che vi sia un coinvolgimento di fattori genetici è dato dal fatto che vi è una differente prevalenza nelle varie popolazioni a secondo delle areee geografiche, che vi è una maggiore concordanza fra gemelli omozigoti rispetto a quelli eterozigoti e che vi è un aumentato rischio di sviluppo della malattia in parenti di primo grado di soggetti con MICI.
Fra i fattori esterni, quello più noto e più importante è senz'altro il fumo di sigaretta; numerosi studi hanno infatti dimostrato senza possibilità di dubbio che nei fumatori affetti da morbo di Crohn la frequenza delle riacutizzazioni è circa il doppio rispetto ai pazienti che non fumano. Non solo: la probabilità che la malattia riappaia dopo un intervento chirurgico è pure circa doppia nei fumatori rispetto ai non fumatori. Oltre quindi ai ben noti effetti nocivi del fumo, nel MC il fumo funzionerebbe da interruttore per l’attivazione della malattia e per tale motivo a tutti i pazienti affetti da MC devono essere vivamente consigliato di smettere di fumare.
Questo dato non è stato confermato in pazienti con RCU, anche comunque in pazienti affetti da RCU per gli effetti deleteri del fumo sulla salute viene di prassi consigliato di smettere di fumare.

Al secondo posto in ordine di importanza si colloca l'utilizzo dei farmaci antiinfiammatori non steroidei, come l'aspirina, l’ibuprofene, la nimesulide etc… E' stato segnalato che l'uso di questi farmaci può scatenate una riacutizzazione dei sintomi delle MICI, anche se non tutti gli autori sono concordi. Nel dubbio, in ogni caso, in genere si raccomanda ai pazienti con MICI di limitare l’uso di questa categoria di farmaci a situazioni di reale necessità, e sempre dopo essersi consultati con il medico specialista, evitando in particolare la "autoprescrizione", sulla base di consigli di parenti o amici!
Negli anni passati si era sospettato che l'assunzione di antibiotici fosse un altro fattore predisponente le riacutizzazioni; questo sospetto non è mai stato confermato (anzi, alcuni antibiotici specifici come la ciprofloxacina e il metronidazolo possono essere utili nella terapia delle MICI), per cui non vi è alcun problema ad eseguire terapie antibiotiche, quando necessario. Esiste invece qualche evidenza del fatto che banali infezioni virali come l'influenza o come le gastroenteriti acute possano scatenare una riacutizzazione sia del morbo di Crohn, sia della colite ulcerosa.
Per completare il quadro dei fattori "esterni" va detta qualche parola sugli anticontraccettivi estroprogestinici (in altri termini, la "pillola anticoncezionale") che ogni tanto, anche sugli organi di informazione, viene additata come un possibile fattore aggravante l'andamento del morbo di Crohn.
E' vero che l'utilizzo di questi farmaci fa aumentare, anche se di poco, il rischio di ammalarsi di morbo di Crohn. Molto recentemente alcuni studi hanno anche insinuato il sospetto che le donne con diagnosi accertata di morbo di Crohn che utilizzano contraccettivi orali possano avere riacutizzazioni più frequenti o sintomi più gravi rispetto alle donne che non ne fanno uso; sono comunque segnalazioni molto preliminari, che fra l'altro contrastano con studi precedenti, i quali avevano invece escluso ogni influenza di questi farmaci sull'andamento dei sintomi intestinali. Bisogna comunque ricordare che alcuni noti effetti collaterali dei contraccettivi, in particolare gli accidenti trombotici, possono essere favoriti dalla presenza della malattia intestinale, anche essa favorente problemi di aumentata coaugulazione.
Dal punto di vista della sintomatologia, l'andamento di queste malattie è imprevedibile e molto variabile sia da paziente a paziente, sia nello stesso paziente in differenti periodi. Infatti mentre alcuni pazienti sono raramente interessati da riacutizzazioni e godono di lunghi periodi di benessere, ne esistono altri che soffrono di riacutizzazioni frequenti. Il quadro clinico può essere molto variabile nel tipo e nella intensità dei sintomi
. I sintomi all’esordio possono essere divisi in intestinali ed extraintestinali. Per quanto riguarda i sintomi intestinali, essi variano a seconda del tratto colpito dal processo infiammatorio.
Nello specifico la RCU interessa la mucosa del colon e i sintomi più comuni sono diarrea con o senza sanguinamento rettale e, spesso, dolore addominale; più raramente, si verificano anche complicanze extraintestinali: a livello articolare, cutaneo, oculare, renale ed epatico. Al contrario della colite ulcerosa, la malattia di Crohn può manifestarsi teoricamente a livello di tutto il canale alimentare, dalla bocca fino al retto e all’ano, anche se si localizza più frequentemente nella parte finale dell’intestino tenue (in questo caso, si parla di ileite), o in tratti variabili del colon (colite) o in entrambe le zone (ileo-colite). I principali sintomi con cui si evidenza sono solitamente diarrea, dolori addominali crampiformi, talvolta febbre. Può inoltre essere presente perdita di appetito, con conseguente dimagrimento. Nel MC anche il tratto gastrointestinale alto può essere coinvolto, in questo caso i sintomi principali possono essere nausea, e vomito. Il MC può essere caratterizzato anche da una patologia a livello dell’ano con presenza di ragadi, ulcere, fistole, ascessi, skin tags (escrescenze carnose). Per quanto riguarda i sintomi extraintestinali, sia il MC che la CU possono esordire con sintomi non riguardanti l’apparato gastrointestinale come uveite, atropatia,sacroileite, spondilite anchilosante, colangite sclerosante

Allergia

Allergia


Il termine allergia è stato coniato per la prima volta nel 1906 da Von Parquet e deriva da due parole greche: allos che significa diverso, ergon che significa effettoCon tale termine si indica appunto l’alterata reattività dell’organismo nei confronti di sostanze per lo più ambientali generalmente innocue, che si manifesta con una serie di eventi mediati da meccanismi immunologici. Gli alimenti contengono un elevato numero di molecole con potere di antigeni (oltre 6000), ma fortunatamente solo in alcuni individui queste inducono una sensibilizzazione.

L’intestino rappresenta una sede potenziale di assorbimento di prodotti di derivazione batterica , di enzimi proteolitici e di antigeni presenti negli alimenti. Esiste però una barriera della mucosa che si oppone all’adesione e alla penetrazione di antigeni, microrganismi e tossine presenti nel lume intestinale. In condizioni normali il sistema immunitario associato alle mucose, l'acidità del succo gastrico, gli enzimi del pancreas e dell'intestino, la motilità intestinale e la flora batterica enterica evitano che molecole alimentari immunologicamente attive attraversino la parete intestinale, oltrepassino il fegato ed entrino in circolo.

La barriera gastrica è costituita dall’ambiente acido dello stomaco che grazie all’attività proteolitica della pepsina limita il passaggio di materiale immodificato al sottostante tratto intestinale.

Gli enzimi pancreatici facilitano la digestione delle macromolecole e degli immunocomplessi .

Il muco previene l’aderenza dei batteri alla superficie mucosa e la moltiplicazione batterica, quindi la formazione di muco e la normale peristalsi intestinale facilitano la clearance delle sostanze presenti nel lume.

I meccanismi di difesa immunologici si basano principalmente sull’azione di anticorpi secretori rappresentati soprattutto dalle IgA di superficie e in minor quota dalle IgM.

Le IgA sono anticorpi presenti in più elevata concentrazione nelle secrezioni intestinali. Tale anticorpo lega antigeni e tossine attraverso le formazione di complessi all’interno dello strato del muco impedendone l’assorbimento intestinale.

Il sistema di barriera intestinale si sviluppa pienamente con il tempo.

Quando esiste un'allergia alimentare succede che, per un mal funzionamento del meccanismo di esclusione, una quantità eccessiva di molecole alimentari, con potere di antigene, attraversa la barriera intestinale e determina, nei soggetti predisposti, una sensibilizzazione e una reazioneTutti gli alimenti potrebbero essere immunogeni, ma fortunatamente le allergie sono in genere sostenute da un numero abbastanza ristretto di sostanze alimentari . Un antigene alimentare, per poter determinare una reazione, deve possedere alcuni requisiti:

  • deve essere un buon immunogeno, come lo sono le proteine, infatti le allergie sono sostenute da allergeni proteici o glicoproteici, 

  • deve resistere ai trattamenti di cottura, bollitura, spremitura, all'acidità del succo gastrico e agli enzimi intestinali. Antigeni resistenti a questi fattori sono quelli presenti nell'uovo e nel latte

  • deve avere una scarsa capacità di indurre intolleranza. 

Gli alimenti che più sovente causano allergie alimentari sono latte, cioccolato, cereali, legumi, uova, agrumi, pomodori.
Le allergie alimentari sono sempre sostenute da un meccanismo immunologico e possono essere di due tipi: 

reaginico: cioè allergie IgE mediate
non reaginico: non mediate da IgE con presenza di complessi immuno patogeni, di linfociti T sensibilizzati e, talvolta, anche di anticorpi tossici. 

Le varie manifestazioni dovute ad allergie possono avvenire o in modo isolato o in associazione tra loro. Si possono essenzialmente distinguere due quadri clinici: reazioni immediate e reazioni ritardate 

Reazioni immediate (IgE mediate): sono dipendenti da anticorpi IgE che reagendo con l’antigene specifico determinano la liberazione di mediatori dell’infiammazione quali l’istamina. L’istamina è il principale mediatore coinvolto e determina diversi effetti quali contrazioni della muscolatura liscia dei bronchioli e del tratto intestinale, aumento della permeabilità delle venule e stimolazione delle secrezioni ghiandolari. Clinicamente questi eventi si esprimono con prurito, arrossamento, orticaria, dispnea, edema laringeo, edema delle labbra e della lingua, produzione di muco e anche shock anafilattico.

Reazioni ritardate (non mediate da IgE)

Sono reazioni mediate da anticorpi di classe IgG o IgM che reagiscono con antigeni presenti sulla superficie di cellule e batteri o cellulo mediate.
In questo caso è molto difficoltoso identificare gli alimenti responsabili, che rimangono il più delle volte sconosciuti; spesso fanno seguito ad una gastroenterite acuta, probabilmente collegabili ad un deficit immunitario transitorio. Si manifestano con
astenia , ansia , dolori articolari e muscolari , otiteL’incidenza delle allergie alimentari è in aumento nelle nazioni industrializzate. Le ragioni di tale fenomeno sono legate a diversi fattori: il consumo di nuovi prodotti, l’evoluzione delle tecniche di produzione degli alimenti e l’incremento della sensibilità ad allergeni dei pollini che ha comportato un incremento delle reazioni crociate con gli alimenti. D’altra parte recenti sondaggi dimostrano che circa il 20% della popolazione adulta ritiene di avere allergie alimentari mentre una diagnosi certa e corretta viene dimostrata solo nell’1-2 % dei casi.
Studi recenti (Jaffuel et aò.2001; Kimber et al 2002) suggeriscono un’incidenza reale di allergia alimentare pari all’1-2 % nell’adulto e 2-8% nel bambino.

La diagnosi si avvale della titolazione di IgE totali e specifiche, prick test e patch test.

La terapia è l’esclusione dell’alimento dalla dieta. In corso di reazione acuta vengono utilizzati farmaci sintomatici a seconda della gravità e del tipo delle manifestazioni: antistaminici, cortisonici, eventuale adrenalina per via sistemica o aerosolica.

INTOLLERANZE ALIMENTARI

Intolleranze alimentari ed allergie alimentari sono due cose diverse anche se talvolta i sintomi che ne derivano porterebbero a far supporre il contrario.

Per meglio caratterizzare queste reazioni immunitarie è utile ,dunque, sottolinearne i principali caratteri distintivi ed approfondire il discorso biochimico.

Le allergie sono dei fenomeni immediati, che compaiono nel giro di qualche minuto o al massimo di qualche ora dall'ingestione del cibo "incriminato", mentre le intolleranze, che dipendono da un progressivo accumulo di sostanze infiammatorie nell'organismo, avranno un tempo di scatenamento più lungo. Questo accumulo avviene giorno dopo giorno ed è dipendente anche dalla quantità di cibo consumato.

Attualmente è di moda parlare di intolleranza alimentare e circa il 40% della popolazione pensa di esserne affetta, in realtà secondo i dati scientifici riguarda solo il 5 % della popolazione.

I disturbi legati alle intolleranze sono diversi da quelli delle allergie: sono meno acuti, tendono a ripetersi nel tempo e sono difficilmente collegabili all'assunzione di un determinato alimento. Stiamo parlando, per esempio, di alcuni tra i disturbi più comuni come stanchezza, gonfiori, mal di testa, esantema, tosse, rinite, asma. Non è semplice individuare l'intolleranza alimentare visto che, come abbiamo visto, non provoca sintomi precisi, unici e riconducibili facilmente ad essa. L’intolleranza è una reazione avversa al cibo causato da un meccanismo farmacologico (istamina mediato); cellulo mediato (celiachia), tossico (funghi), deficit enzimatico (deficit di lattasi). Vi sono attualmente diversi esami per "scoprire" se si soffre di una intolleranza alimentare. Ad esempio il test Dria, una procedura indolore basata sulla risposta muscolare alla somministrazione di alimenti. Il test si effettua ponendo a contatto della mucosa sublinguale una sequenza di piccole dosi di alimenti. Il medico stimola il muscolo quadricipite femorale del paziente mentre un computer ne registra la forza. La diminuzione della forza muscolare in riflesso alla sostanza somministrata decreterà la presenza di una intolleranza alimentare. Questo test però è basato su procedure non scientifiche ed i risultati che se ne ricavano sono alquanto discutibili. Lo standard di riferimento internazionale per la diagnosi di intolleranza alimentare è rappresentato dal test di provocazione in doppio cieco contro placebo, in cui l'alimento sospetto viene somministrato, in quantità crescenti fino a raggiungere dosi simili a quelle ingerite con la dieta, in capsule opache o comunque in forma mascherata in modo da impedirne il riconoscimento sia al paziente sia al medico che esegue la prova. L’esclusione dell’alimento dalla dieta è il rimedio d’eccellenza per l’intolleranza.

Gli alimenti che possono causare intolleranza sono: latte e latticini, lieviti, frumento, oli vegetali, olio di oliva, ecc.